Una chirurgia al servizio della persona
Nell’immaginario collettivo, la chirurgia estetica rappresenta un mezzo attraverso il quale l’individuo può migliorare il proprio aspetto fisico.
In effetti, servendosi di tecniche elaborate, soprattutto, nel secolo scorso, unitamente alle innovazioni in campo anestesiologico, il chirurgo può, oggi, effettuare interventi a basso rischio per correggere i cosiddetti “inestetismi”.
Un naso da storto può diventare dritto, un seno da piccolo può diventare grande, un viso da vecchio può ritornare giovane.
Ma è tutto così semplice?
Parrebbe di sì, almeno leggendo i rotocalchi ed assistendo alle interviste dei miei colleghi che si occupano di estetica, ove si elucubrano teorie sul bello e sulle varie interpretazioni di esso e definendo i canoni entro i quali un risultato può definirsi buono.
Spesso si ricorre al discorso sulle proporzioni, sui rapporti tra le misure, sull’antropometria, sulle classificazioni artistiche, con la finalità di catalogare in rigidi parametri il bello ed il brutto.
Fin dai tempi antichi si è cercato di imprigionare l’estetica in una gabbia di numeri, dalla sequenza armonica dei quali, potesse risultare un modello canonico da applicare universalmente. Ciò riguarda, però, l’oggetto in sé, l’armonia nella sua essenza, la plasticità nella forma pura, estrapolate dall’essere, quasi distaccate dai sentimenti che le producono e ne condizionano l’espressione.
Questo può, in parte essere condiviso, qualora si stia parlando di statue, di dipinti, di design, di oggetti, cioè, frutto dell’estro che debbono bloccare in un istante e per sempre il sentimento che animava l’autore nel momento del loro concepimento.
Tutto si complica quando si parla di bellezza riferita all’uomo, trascendendo da OGGETTO ad ESSERE, e all’anatomia delle forme si viene a contrapporre l’anatomia dell’anima.
Se cominciamo a ragionare in tale ambito, appare evidente che la bellezza non può essere considerata solo una sequenza di numeri, altrimenti non si potrebbe parlare di una bella persona, di un bel gesto o di una bella vita.
Quindi, cos’è che rende bello un individuo? Forse il naso diritto, o le misure del seno, o le palpebre definite, o l’addome levigato? Nulla di tutto questo.
E’ nell’armonia tra il mondo interiore ed il mondo delle cose, che va ricercato il vero significato della bellezza: un sottile gioco tra immaginazione ed intelletto, come sosteneva Kant, in cui l’immaginazione, cioè l’anima, cioè la nostra interiorità, offrono all’intelletto l’immagine dell’oggetto così come esso lo vuole vedere.
Il nostro corpo, proiettato allo specchio, ci appare bello solo se riflette ciò che sentiamo di essere, solo se le sembianze fisiche corrispondono alle sembianze nostre più intime e profonde.
Il disagio che deriva da un difetto fisico, è sempre dovuto al condizionamento che esso produce sulla capacità di esprimere un proprio moto interiore o, peggio, ad alterare l’espressione del nostro modo di essere.
E’ qui – e solo qui- che trova dignità di esistere la chirurgia estetica: un mezzo che consente, attraverso la correzione dell’espressione corporea, di favorire la trasmissione dell’immagine interiore.
Come tutte le arti chirurgiche, cura, quindi, una patologia, che consiste nella difficoltà di armonizzare l’essere con l’apparire.
Non è poca cosa.